Cosa sono le “transition towns”, termine anglofono un po’ ostile all’orecchio?
Sono città che vogliono cambiare rotta sulle forme di energia utilizzate, abbandonando progressivamente il petrolio, i combustibili tradizionali come gas e carbone, per arrivare a forme di energia più pulite.
Città di transizione, in Italiano, e la “transizione” dovrà essere non troppo lenta, comunque graduale, e soprattutto, meno sconvolgente possibile per gli abitanti.
Il movimento nasce in Irlanda e si è in pochi anni diffuso in tutto il mondo.
In verità l’unico vero agglomerato urbano che abbia aderito a questo progetto è Brixton, un grande quartiere di Londra.
In Italia, è a Monteveglio, in provincia di Bologna che si è creata la prima città italiana di transizione realmente riconosciuta.
Gli eco-sognatori di Monteveglio si sono ispirati alla filosofia nata a Kinsale in Irlanda dove insegnava Rob Hopkins, docente universitario e fondatore del movimento.
Da qui l’idea di zone franche, sempre più oil free, è migrata gettando i semi al di là dell’Oceano.
I suoi abitanti si stanno facendo contagiare come dicevamo da un gruppo di ecosognatori che hanno aderito a “Transition town“, movimento Irlandese nato nel 2005 e definito dal Guardian “un esperimento sociale su vasta scala”.
Secondo Rob Hopkins, padre del movimento, la nostra economia è interamente basata sullo sfruttamento dei combustibili fossili, ciò ha determinato una società basata sul parassitismo economico.
Sono decine le famiglie che mirano all’autosufficienza alimentare e riescono a evitare i supermercati almeno per frutta e verdura.
Altre si uniscono in gruppi di acquisto energetico e installano pannelli solari o impianti fotovoltaici.
Oltre a Monteveglio, e sempre a livello di suolo Italiano, sono nati gruppi a Granarolo, L’Aquila, Lucca e, ultimo in ordine di fondazione, Carimate in provincia di Bolzano.
Altri si stanno organizzando in decine di comuni italiani tra cui Ferrara, Firenze, Mantova, Perugia, Reggio Emilia, Bologna, Bari e anche Palermo, Torino e Roma perché la “Transition town” non è una filosofia adatta solo a piccoli centri.
Rob Hopkins fa presente che ci stiamo avvicinando al cosiddetto “picco del petrolio”, cioè il momento in cui il petrolio smetterà di essere abbondante e relativamente a buon mercato.
Dalla dipendenza dal petrolio alla forza delle comunità locali
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Secondo Hopkins il raggiungimento e il superamento del picco del petrolio causerà un enorme riscaldamento globale poiché si utilizzerebbero altre forme di energia che produrrebbero una gran quantità di gas-serra.
Ciò che propone il movimento delle “Transition towns” è un utilizzo più consapevole delle risorse energetiche, che dovrebbero essere di preferenza eoliche o fotovoltaiche, l’autonomia alimentare, basata sulla coltivazione di orti biologici attraverso la tecnica della permacultura, ma anche attraverso allevamenti di bestiame a scopo alimentare.
Inoltre si propone di essere indipendenti anche per ciò che riguarda la costruzione delle manifatture e dell’abbigliamento, il rispetto del paesaggio e lo sfruttamento ecosostenibile del bosco, del pascolo e dei campi.
Tutte queste metodologie sono riviste continuamente e riadattate situazione per situazione.
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