Tra poco sarà la stagione il cui si potrà iniziare a fare i primi raccolti di bacche di  Rubus Ulmifolius, le famose more, il rovo, da non confondere con quelle del gelso (Morus nigra).

Conosciuta con i nomi di: mora selvatica, mora di rovo, rogo di macchia e spina di siepe, il  Rubus Ulmifolius è una pianta dal portamento arbustivo cespuglioso perenne appartenente alla famiglia delle Rosaceae con altezza che può raggiungere anche i 3 metri.
È presente in quasi tutta Europa, il Nordafrica e l’Asia, cresce spontanea in terreni leggermente umidi e profondi, rispetto ad altre piante da bacca ha bisogno di più sole e l’habitat preferito è quello boschivo, essendo una pianta eliofila infatti  tollera ben poco l’ombra completa.

Presenta fusti aerei a sezione pentagonale lunghi fino a 3 metri ricadenti, rossastri e provvisti di grosse spine.
È un arbusto semicaducifoglio, infatti, molte foglie permangono durante l’inverno.
Le foglie del rovo, imparipennate, costituite da 3 a 5 foglioline, presentano margine seghettato, sono ellittiche od obovate accuminate e sono di un verde scuro, con pagina inferiore tomentosa con peli  bianchi e pagina superiore glabra lucida.
Ha riproduzione sessuale, ossia, attraverso i semi, ma anche vegetativa, interrando infatti i suoi rami flessibili si otterranno nuovi esemplari.

I fiori del rovo, bianchi o rosa, compaiono fra la primavera e l’estate, sono composti da cinque petali, e cinque sepali, sono raggruppati in racemi, l’infiorescenza completa ha forma oblunga oppure piramidale.

Il frutto (falso frutto)del rovo matura fra luglio e settembre, è commestibile, ricco di vitamina A, minerali, acidi organici, il frutto in sé,  è composto da numerose piccole drupe, verdi in principio e rosse o nero/violaceo a maturazione e vengono comunemente chiamati “more”.

La moltiplicazione del rovo avviene per talea o propaggine apicale.
Viene considerata una pianta infestante, infatti, basti pensare che ne tagli drastici, ne erbicidi, ne incendi, arrestano la sua sopravvivenza.
Se le comprate in zolla piantatele un po’ più profonde del lampone e provvedete a mantenere il piede sempre provvisto di pacciamatura.
Una varietà molto consigliata è la ‘Dirksen’.

 

Ma molto più gradevole è andare in campagna nella stagione giusta e raccoglierle.
Portate cesti bassi e larghi, in modo che il peso non le schiacci, o dei barattoli di vetro.

Le more soffrono di parassiti meno di altre piante da bacca, tuttavia non sono immuni all’oidio ed è bene eseguire un trattamento preventivo con irrorazioni primaverili di decotto di equiseto e di ortica.
Il succo di mora ha effetti benefici su stomaco, intestino e vescica.
Inoltre, piantata a spalliera o come siepe, darà rifugio alla piccola fauna del giardino, come ricci e nidiacei.

CURIOSITA’:
Galeno e Ippocrate consideravano le more utili per la cura della gotta, tanto che le ribattezzarono con l’appellativo “bacche della gotta”, appellativo che accompagnò le more fino al settecento.
Tutta la pianta, foglie, corteccia e radici sono usate in erboristeria fin da tempi antichi.
Nel mondo greco, si consigliava di masticare foglie di rovo per rafforzare gengive deboli e sanguinanti.
Le  foglie venivano anche utilizzate per impacchi contro i dolori delle ulcere e cicatrici.
I romani, bevevano decotti di foglie e corteccia di rovo alle quali riconoscevano capacità  astringenti.
Un pregiudizio che ha accompagnato il rovo per tanto tempo, nell’epoca medioevale, nonostante continuassero a utilizzare la pianta in sciroppi, decotti e impacchi, era che le more fossero nocive se mangiate appena colte, pregiudizio poi sfatato da studi successivi che attribuirono la nocività a questioni più che altro legate al livello igienico di allora, infatti, oggi è risaputo, che qualsiasi ortaggio o frutto può essere  vincolo di diffusione di germi e batteri se raccolti in prossimità di strade e sentieri se non lavati accuratamente prima di cibarsene, pratica, che all’epoca senz’altro non era molto effettuata.
Del resto, ancora ai giorni nostri, e con maggiori giustificazioni legati all’inquinamento, alle polveri sottili emanate dai gas di scarico che si depositano sopra foglie e frutti, all’inquinamento in generale, senz’altro maggiore rispetto allora, si consiglia giustamente di lavare accuratamente le more raccolte ai cigli delle strade prima di cibarsene, se non, non raccoglierle proprio.